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Ambiente ↔ Comportamento ↔ Emozione ↔ Cognizione

Dall’ambiente fluido e naturale emergono forme sempre più complesse: stormi di uccelli, un albero spoglio e infine un volto umano stilizzato. Rappresentazione simbolica dell’evoluzione, del comportamento in relazione all’ambiente, della mente e delle emozioni.

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Pagina introduttiva all’intera sezione tematica

Questa pagina — insieme alle pagine trasversali collegate — non intende offrire una trattazione completa ed esaustiva, ma proporre orientamenti utili per accrescere la consapevolezza di sé (e del noi), accompagnati da spunti di approfondimento e letture pertinenti.
Verranno anche proposte riletture critiche di concetti oggi molto usati nella divulgazione. Alcuni di essi, pur validi, rischiano di agire più come slogan identitari che come strumenti concettuali reali. Per citarne solo alcuni, tra quelli più spesso tirati per la giacchetta: biopsicosociale, neurodivergenza, empatia, mindfulness, resilienza — e persino la definizione stessa di “emozione”, che resta tutt’altro che univoca, anche tra gli esperti.

Nota introduttiva dell’autore

Il testo introduttivo che segue è stato scritto da un primate umano con due diagnosi di neurodivergenza, ancora in cerca di un equilibrio biopsicosociale.
Negli anni ho maturato una certa delusione verso la confusione che domina — a più livelli — il mondo della salute mentale.
Per questo ho scelto di documentarmi autonomamente, cercando di empatizzare con chi lavora nel settore, ma anche di farmi un’idea personale.
Quel che propongo qui è una serie di considerazioni critiche, suggestioni personali e punti di vista alternativi, nati dal tentativo di capire davvero — e non solo ripetere — quello che ci viene detto.



Dall’ambiente alla vita psichica

Proviamo a semplificare senza rinunciare al rigore epistemico — cioè al modo in cui conosciamo e comprendiamo il mondo.
 
In linea di principio, basta un ambiente — inteso in senso ampio — con elementi e fenomeni fisici per osservare comportamenti. Anche sistemi privi di intenzionalità possono “comportarsi” in un certo modo: per esempio, l’acqua, a pressione atmosferica e temperatura sotto zero Celsius, ghiaccia. Non decide di farlo, non lo sa, ma lo fa. È un comportamento nel senso minimo: una trasformazione passiva, in risposta a condizioni esterne.
 
Poi arriva LUCALast Universal Common Ancestor — vissuto circa 3,5–3,8 miliardi di anni fa. È l’antenato comune a tutte le forme di vita presenti e passate sulla Terra: il primo vivente. Naturalmente, non era un individuo unico, ma una tipologia di organismo primordiale.
 
A questo punto nasce il comportamento attivo: gli organismi viventi iniziano a mettere in atto modifiche finalizzate al mantenimento dell’omeostasi.
In estrema sintesi: mettono in atto l’allostasi, ovvero un comportamento mirato a preservare l’equilibrio interno in risposta a condizioni esterne variabili.
 
In seguito si accesero le prime scintille delle emozioni — o meglio: affetti primordiali, anche detti omeostatici.
 
Va però chiarito che, a questo punto del discorso, ci stiamo momentaneamente allontanando dalla corrente costruttivista (cioè l’idea che emozioni e stati mentali siano costruiti socialmente attraverso linguaggio, cultura e interazione), per salire sul treno dell’essenzialismo (cioè la posizione secondo cui alcune caratteristiche — come le emozioni — hanno basi innate, universali e biologicamente determinate). È una scelta funzionale alla logica del ragionamento: servono fondamenta biologiche solide, prima di parlare di interpretazioni sociali o culturali.
 
Tra queste due linee di pensiero — essenzialismo e costruttivismo — il confronto è ancora aperto, a tratti acceso, e non può certo essere risolto in poche righe. Entrambe, comunque, offrono tesi robuste e meritevoli di attenzione.
 
In sintesi:
  • L’essenzialismo colloca l’origine delle emozioni lungo una linea evolutiva continua, dagli organismi più semplici fino al genere Homo.
     
  • Il costruttivismo, invece, sostiene che l’emozione — in quanto tale — sia il prodotto finale: risultato di un amalgama di fattori biochimici, cognitivi, ambientali e culturali, organizzati e resi significativi attraverso il linguaggio.
 
Nonostante il contrasto, vi è ampio consenso sul fatto che gli affetti svolgano un ruolo cruciale nel segnalare la valenza di uno stimolo (positiva o negativa) e nel guidare il comportamento dell’organismo verso ciò che favorisce il suo equilibrio e la sopravvivenza, o lo allontana dal pericolo.
 
In questo senso, l’etimologia della parola affetto, dal latino afficere (“agire su qualcosa”), è particolarmente rivelatrice: indica una modificazione interna provocata da una causa esterna o interna.
Proprio come negli affetti omeostatici, ciò che ci modifica diventa segnale: il corpo “sente” se si sta avvicinando o allontanando dall’equilibrio vitale, e il comportamento risponde.
 
Questa è forse la forma più primitiva di soggettività: una trasformazione interna che “ci fa qualcosa” e ci mette in moto.
 
Quanto detto finora ci permette di comprendere che ambiente e comportamento attivo, guidato dalla spinta alla sopravvivenza — emozioni in senso lato — sono gli elementi alla base di un’iterazione vitale con il proprio contesto esterno.
 
Per oltre tre miliardi di anni, prima ancora della comparsa di un sistema nervoso, la vita si è mossa secondo i propri bisogni sfruttando la sola biochimica.
E guarda caso, noi — esseri “evoluti” e altamente cognitivi — quando vogliamo evocare forti emozioni o smorzarle, puntiamo ancora lì: alle modificazioni chimiche.
Lo facciamo in modo diretto e intenzionale: alcool, nicotina, droghe illegali, farmaci.
Oppure in modo indiretto: mediante attività sportive, ludiche, relazionali o prendendoci cura gli uni degli altri — che agiscono sulla chimica interna stimolando il rilascio, l’inibizione o la modulazione di sostanze endogene come neurotrasmettitori e ormoni.
 
Praticamente tutto ciò che facciamo per regolare il nostro stato emotivo è, in ultima analisi, un tentativo di orientare e modificare — o assecondare — questo equilibrio biochimico dinamico.
E allo stesso tempo, il comportamento è originariamente attivato da questo stesso bisogno di equilibrio biochimico.
 
Circa 500 milioni di anni fa entra in scena il sistema nervoso, segnando un salto di complessità e accompagnando lo sviluppo del regno animale, al quale anche noi apparteniamo. La sua comparsa ha permesso un’evoluzione radicale nella complessità dei comportamenti: maggiore articolazione del movimento attivo e capacità di percepire gli stimoli ambientali, differenziandoli in modo più fine e selettivo. Inoltre ha permesso di creare rappresentazioni del “mondo” interno ed esterno sempre più dettagliate. Il cervello si sviluppa in stretta interazione con la piattaforma biochimica in cui è immerso e dalla quale riceve segnali costanti e trae nutrimento: è un sistema simbiotico. Con le sue connessioni, rappresenta, in termini metaforici, l’hardware biologico su cui si sviluppa il “software” della cognizione, del pensiero e, per estensione, della nostra idea di identità e coscienza. Abbiamo così raggiunto un elevatissimo grado di variabilità possibile nell’interazione con l’ambiente — materiale e sociale — oltre alla capacità di trasformarlo profondamente a nostro vantaggio.
 

 Breve sommario per ricapitolare

Fondamento fisico del comportamento — ambiente ed elementi reagenti
  • Anche il mondo inanimato si comporta: l’acqua solidifica, i corpi cadono, le foglie danzano nel vento. Nessuna intenzione, solo reazioni dettate dall’ambiente.
 
Origine del comportamento attivo: LUCA
  • Con la vita, compare l’autoregolazione: comportamento orientato all’omeostasi.
  • Nasce l’allostasi: adattamento dinamico e proattivo all’ambiente per mantenere l’equilibrio interno.
 
Affetti omeostatici come base soggettiva
  • Gli affetti sono modificazioni percepibili dello stato corporeo che orientano il comportamento.
  • L’etimologia di affetto, come “essere modificati”, chiarisce il legame tra stato interno e risposta.
 
Biochimica come piattaforma evolutiva
  • Prima del sistema nervoso, la biochimica ha guidato il comportamento per miliardi di anni.
  • Ancora oggi, molte azioni umane (volontarie o meno) mirano a regolare la chimica interna.
 
Ingresso del sistema nervoso e salto di complessità
  • Circa 500 milioni di anni fa, compare il sistema nervoso: amplifica movimento, discriminazione degli stimoli e rappresentazioni dell’ambiente interno ed esterno.
  • Il cervello, in relazione simbiotica con la biochimica, costituisce l’hardware biologico della cognizione.
  • Da qui emerge la mente, il pensiero e il senso di sé.
 

 Una conclusione aperta

Fin qui, abbiamo tracciato le fondamenta. Ora possiamo visualizzare l’interdipendenza tra tutti i livelli necessari a formare un essere animato e suoi moti.
 
L’ambiente costituisce la base che dà senso al comportamento, definendo le condizioni a cui gli organismi devono adattarsi.
L’omeostasi interna, invece, segnala quando è necessario reagire all’ambiente e quale tipo di comportamento attivare.
Il sistema nervoso, infine, accresce la complessità e la precisione delle azioni possibili.
 
  • I batteri si allontanano con mezzi rudimentali — e per pochi millimetri — da zone più o meno acide.
  • Le sterne artiche percorrono fino a 18.000 km, migrando dai mari del Nord al Polo Sud.
  • I castori costruiscono dighe e trasformano interi ecosistemi fluviali.
  • Noi sapiens, nel nostro passionale slancio tecnologico, stiamo reimmettendo nell’atmosfera — in pochi decenni — il  carbonio che la Terra aveva stoccato nel sottosuolo in milioni di anni. Un comportamento che, pur molto attivo, manca spesso di quella consapevolezza autoregolativa che l’allostasi fornisce agli esseri viventi. Il conto arriverà e dovremo dimostrare di saper mettere in atto i comportamenti necessari.
 
E poi c’è il singolo individuo.
Un padre di famiglia che agisce sotto la spinta di un impulso dopaminergico al gioco d’azzardo, può produrre effetti profondi sull’equilibrio affettivo ed economico dell’ambiente domestico.
Non è però l’unico scenario possibile: c’è chi, grazie alla regolazione affettiva e a un contesto favorevole, riesce a trasformare emozioni difficili in gesti riparatori, o in scelte evolutive.
E poi ci sono gli altri casi: quelli in cui frustrazione, vergogna o rabbia vengono agite con automatismi grezzi — e creano danni, spesso irreparabili.
 
In fondo, tutto dipende da quanto sappiamo leggere il nostro stato interno… e dal livello di alfabetizzazione affettiva (espressione costruttivista) che abbiamo saputo sviluppare.
 
Il punto forte del cervello umano, grazie al linguaggio e ai simboli, è la capacità di anticipare scenari futuri e riflettere sull’efficacia dei comportamenti passati.
 
È questo intreccio dinamico tra ambiente, comportamento, emozione e cognizione che ci permette di esistere come esseri senzienti e agenti, capaci di trasformare il mondo… e di esserne trasformati.
 
Da qui ripartiamo.
Non per ridurre l’umano alla biologia, ma per riconoscere che la mente affonda le sue radici nella materia — e da lì si slancia verso ciò che ancora ci resta da scoprire.


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