La strana calibratura della psicologia
Pensiero, mente e cervello
Non siamo mica tutti STRANI

Considerazioni ispirate da uno studio condotto da Joseph Henrich, Steven J. Heine e Ara Norenzayan, sintetizzato in un articolo pubblicato online il 30 giugno 2010 su “Nature”: Most people are not WEIRD (La maggior parte delle persone non sono STRANE).
Riguardo agli studi sui processi cognitivi ed affettivi esiste un dilemma diffuso in psicologia, a molti sconosciuto, se non a livello intuitivo, compresi i professionisti che basano i loro assunti nella pratica quotidiana su tali sudi.L’acronimo WEIRD, (fatto coincidere in modo ironico con STRANO) sta per Western, Educated, Industrialized, Rich and Democratic societies — occidentali, istruiti, industrializzati, ricchi di società democratiche.“Un'indagine del 2008 sulle principali riviste di psicologia ha rilevato che il 96% dei soggetti proveniva da paesi industrializzati occidentali, che ospitano solo il 12% della popolazione mondiale. Strano, quindi, che gli articoli di ricerca presuppongano abitualmente che i loro risultati siano ampiamente rappresentativi, aggiungendo raramente anche una nota cautelativa su quanto le loro scoperte possano essere generalizzate.”(traduzione automatica dall’articolo originale, nature.com — download gratuito su https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=1601785)Per comprendere i processi cognitivi ed affettivi alla base del comportamento umano, necessitiamo ricavare i tratti fondamentali che accomunano un numero il più rappresentativo ed eterogeneo possibile di soggetti.Per alcuni meccanismi di base sono bastate ricerche sugli animali, i più studiati sono topi, scimmie, corvidi cani e gatti, per avere un quadro abbastanza esaustivo. Per gli studi su apprendimento e memoria, Eric Kandel (Premio Nobel per la Fisiologia o la Medicina, 2000) si servì della lumaca marina Aplysia californica, scelta per il sistema nervoso semplice e i neuroni di grandi dimensioni. Qualitativamente i nostri amici animali hanno ben poco da invidiarci, comprese le emozioni, come suggerì Darwin ben 150 anni fa. Tuttavia quando la scienza s’interroga, cercando di generalizzare processi mentali di grado sempre più complesso, le cose iniziano farsi più nebulose, dando spazio a interpretazioni talvolta fuorvianti.Quando si tratta di noi umani, non è possibile andare in giro per il mondo a catturare, o peggio allevare, un ventaglio randomizzato ad hoc, di persone da infilare negli scanner fRMI o sottoporli ai più svariati test cognitivi. La soluzione più rapida, semplice e poco costosa, sta nel reclutare studenti universitari che spesso e volentieri sono gli stessi allievi dei ricercatori. Da qui le criticità quando si vuole generalizzare i risultati ottenuti ed applicarli nella pratica professionale delle scienze sociali.Come viene fatto notare a più riprese da Frans da Waal nel suo libro “Siamo così intelligenti da capire l’intelligenza degli animali?” (Raffaello Cortina Editore, 2016) anche gli studi sugli animali presentano limiti ed errori di interpretazione, dovuti a condizioni di laboratorio che non rispecchiano in pieno le condizioni naturali, premesse sbagliate o aspettative dell'osservatore.Date le peculiari tendenze del cervello, nel percorrere sempre la via più rapida ed energeticamente meno dispendiosa, le considerazioni contrastanti descritte sopra, tendono a manifestarsi in due estremi altrettanto problematici.
Primo, quando risulta più facile generalizzare, tendiamo ad attribuire a tutti le stesse esperienze soggettive, commettendo l’errore di tralasciare la contestualizzazione dell’esperienza vissuta e le peculiari capacità di adattamento, resilienza ed elaborazione della realtà. Perdendo di vista che risposte comportamentali uguali possono nascere da esperienze diverse, oppure che la stessa esperienza stimolo può dare origine a reazioni diverse da un individuo all'altro. Secondo, quando funzioni qualitativamente accertate e verificate, non collimano con il nostro punto di vista, innescando dissonanza cognitiva, ci appelliamo alla soggettività anche là dove francamente funzioniamo con ampia coerenza oggettiva assodata.Tutto ciò va a discapito del pensiero critico ponderato sui fattori contingenti alla realtà, che va analizzata di volta in volta.Per concludere con una battuta. Quando gli psicologi vengono bollati di essere, o fare ragionamenti, STRANI, forse il pensiero a livello intuitivo non è del tutto campato in aria.Questo non vuole tuttavia dire che tutto quello che esce dai laboratori di neuroscienze e dalle facoltà di psicologia sia da gettare alle ortiche. È “solo” questione di ampliare le vedute e non fermarsi alle apparenze, spesso troppo comode, sia per i professionisti delle scienze sociali che per i destinatari delle loro prestazioni.Al seguente link, un'intervista con uno degli autori dello studio citato e presentazione del libro ad esso dedicato: