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Test di Wason e la formulazione scorretta delle regole

Ovvero: come smontare uno dei test più famosi della psicologia cognitiva… con una piccola rivoluzione logica.

Se ti sei mai imbattuto nel famigerato “Test di Wason”, sappi che è uno degli esperimenti più citati per dimostrare che il cervello umano non è proprio un campione di logica astratta. Ma se il problema non fosse il cervello… bensì il modo in cui le regole vengono formulate?



📖 Il test originale


Date quattro carte:
A — R — 4 — 9

Ogni carta ha una lettera da un lato e un numero dall’altro. La regola da verificare è:
“Se c’è una vocale da un lato, allora c’è un numero pari dall’altro.”

Quali carte devi girare per verificare se la regola è rispettata?
Carte con lettere A, R e numeri 4, 9, rappresentazione grafica del Test di Wason per illustrare regole condizionali.
Risposta corretta: gira A (per controllare che dietro ci sia un numero pari) e 9 (per assicurarti che dietro non ci sia una vocale, il che violerebbe la regola).
 
La maggior parte delle persone però sbaglia, e gira A e 4. Questo errore è noto come bias di conferma: tendiamo a cercare conferme anziché controesempi.
 
📖 Conclusione canonica: l’essere umano non è fatto per ragionare in modo logico astratto.



🍺 Il trucco sociale


Quando però il test viene “tradotto” in un contesto sociale, la storia cambia. La regola diventa:
 
“Se una persona beve alcolici, allora deve avere più di 18 anni.”
 
Le carte ora rappresentano situazioni concrete:
Carte con scritte Beer, Cola, 23 e 15, rappresentazione grafica del Test di Wason nella variante sociale per regole condizionali.
In questo scenario, quasi tutti rispondono correttamente:

Gira “birra” (per verificare che la persona sia maggiorenne) e “15 anni” (per controllare che il minorenne non stia bevendo alcol).
 
🎯 Bingo. La gente non sbaglia più.
 
Secondo la spiegazione classica, questo succede perché siamo evolutivamente programmati per individuare imbrogliatori e violazioni sociali. In altre parole, siamo bravi a scovare trasgressori ma ci inceppiamo con la logica astratta.

 
Fine della storia?
Non proprio. Qui comincia la parte più interessante.



📊 La matrice che smonta il mito

La nostra analisi porta a una conclusione sorprendente: non è esclusivamente il contenuto sociale del test a facilitare il ragionamento. Anche la forma logico-linguistica della regola ha un ruolo centrale.
Quando la regola è formulata in modo affermativo — Se una persona beve alcol, allora deve avere più di 18 anni”— il cervello deve mantenere in memoria sia la condizione che la conseguenza, valutando tutte le combinazioni possibili. Al contrario, con una formulazione negativa o proibitiva — Un minorenne non può bere alcolici — il carico cognitivo viene alleggerito: la mente si focalizza direttamente sui casi di violazione.
Lo stesso accade nella versione astratta del test. Riformulata come divieto — Una vocale non può avere un numero dispari sul retro — la regola diventa immediatamente più accessibile: la memoria di lavoro è meno sollecitata e l’attenzione si orienta più rapidamente verso la soluzione.

Questo effetto emerge chiaramente se consideriamo quattro possibili configurazioni del test di Wason:

  1. Forma affermativa + contenuto astratto (performance bassa)
  2. Forma affermativa + contenuto sociale (performance stabile grazie a familiarità e schemi appresi)
  3. Forma negativa + contenuto astratto (performance alta: il divieto semplifica il ragionamento)
  4. Forma negativa + contenuto sociale (performance alta: il divieto rafforza un effetto già noto).
📌 Nota: il divieto sociale è così interiorizzato che la performance resta buona anche in forme affermative.



🧬 Il segreto evolutivo: evitare prima di agire

 
Per ogni organismo dotato di un sistema nervoso, la priorità è sopravvivere. Il primo imperativo è:
 
Cosa devo evitare per restare vivo?”
 
Solo dopo arriva:
Cosa posso fare per vivere meglio?”
 
Il nostro cervello è cablato per reagire ai divieti: frasi come “Non fare X” parlano la lingua ancestrale della mente, attivando immediatamente la vigilanza e riducendo il carico cognitivo, sgravando la memoria di lavoro e attivando un filtro attentivo immediato verso le violazioni.



📣 Conclusione (e una provocazione)

 
Forse il Test di Wason non misura affatto un deficit di logica umana, ma un deficit di chiarezza linguistica.
 
📢 Chi ha i mezzi per costruire un test empirico si faccia avanti. L’onere della prova spetta a chi non è d’accordo o dispone delle risorse necessarie. E noi, nel caso, siamo pronti a chiedere ufficialmente scusa. 😉



Emanuel Borelli per primates.mia  

🔖 Nota: Questa ipotesi, formulata come deduzione originale, attende conferma o confutazione sperimentale.
A seguito di una ricerca nel web, non risultano formulazioni identiche a quella proposta. Se qualcuno ci era già arrivato, ha deciso di non farlo sapere a Google.


Nota metodologica

Esempio del compito di selezione di Wason in un contesto sociale (controllo dell’età per il consumo di alcolici): la maggior parte delle persone sceglie correttamente le carte “15” e “birra” per verificare la regola. en.wikipedia.org

Distinzione dalle ipotesi precedenti

L’ipotesi qui proposta si discosta nettamente dalle spiegazioni tradizionali del Test di Wason. In passato, tre interpretazioni principali hanno cercato di spiegare perché le persone riescono meglio con regole “sociali” che con regole astratte:

  • Bias di conferma: Secondo Wason, molti partecipanti sbagliano perché cercano conferme anziché controesempi. Ad esempio, di fronte alla regola astratta “Se c’è una vocale da un lato, allora c’è un numero pari dall’altro”, la maggioranza gira la carta con la vocale e quella con il numero pari, trascurando la carta con il numero dispari che potrebbe falsificare la regola. Ciò indica un bias cognitivo verso la conferma delle aspettative, che porta a ignorare i casi potenzialmente falsificatori.

  • Modulo mentale “anti-imbroglione”: Leda Cosmides e John Tooby hanno ipotizzato che il cervello umano contenga adattamenti specifici per sorvegliare le regole sociali. In base a questa teoria evoluzionistica, eccelliamo nei compiti di Wason che implicano contratti sociali o divieti (“se fai X, devi soddisfare la condizione Y”), perché possediamo un modulo mentale specializzato nell’identificare i trasgressori (i cosiddetti cheater). Questo spiegherebbe perché, ad esempio, la versione con la regola “Se bevi alcol, allora devi avere più di 18 anni” viene risolta correttamente dalla maggior parte dei soggetti, mentre la versione astratta equivalente no. Secondo Cosmides e Tooby, tale prestazione non è dovuta alla familiarità, poiché anche regole sociali non familiari mostrano il medesimo effetto.

  • Familiarità o schemi pratici: Altri psicologi hanno suggerito che la facilitazione nei contesti concreti derivi dall’esperienza o dalla familiarità. In questa linea, il miglioramento nel compito di Wason “dell’alcol e minorenni” sarebbe dovuto semplicemente al fatto che le persone conoscono già quella regola (o schemi di permesso simili) e quindi sanno istintivamente quali casi controllare. Cosmides e Tooby hanno contestato questa spiegazione, riportando evidenze che anche con regole sociali nuove (non apprese in precedenza) le persone mostrano performance elevate. Tuttavia, l’ipotesi della familiarità ha avuto un ruolo storico importante (ad es. negli studi di Griggs & Cox) e rimane una delle interpretazioni da distinguere chiaramente dalla nostra.

Framing negativo e complessità logica ridotta

L’originalità della presente ipotesi sta nell’attribuire il miglioramento della performance non a moduli mentali specializzati né solo al contenuto familiare, ma alla forma logico-linguistica della regola. In particolare, riformulare una regola in forma negativa o di divieto (ad es. “Una vocale non può avere un numero dispari sul retro”) la rende cognitivamente più maneggevole, sgravando la memoria di lavoro e attivando un filtro attentivo immediato verso le violazioni. La ragione è duplice: da un lato, la forma negativa mette in primo piano la situazione vietata, riducendo le possibilità da considerare (basta cercare la combinazione proibita “P e Q” che violerebbe la regola, anziché dover anche immaginare l’assenza di Q). Dall’altro lato, un enunciato di divieto si accorda con un principio di vigilanza radicato nell’evoluzione: il nostro cervello dà priorità alle informazioni negative o di potenziale pericolo. Numerosi studi sul negativity bias mostrano che eventi o avvisi negativi hanno un impatto cognitivo maggiore di quelli positivi. In termini evolutivi, evitare un errore o un rischio ha spesso più valore di ottenere una ricompensa, e quindi frasi come “Non fare X” attivano immediatamente l’attenzione e richiedono meno elaborazione per essere comprese. In breve, una regola formulata come divieto parla la “lingua ancestrale” della mente, permettendo di individuare le violazioni in modo più diretto e con minore carico cognitivo.

Progettazione di un test sperimentale

Per corroborare questa ipotesi, si può predisporre un esperimento controllato che confronti le quattro condizioni delineate (regola in forma affermativa vs negativa × contenuto astratto vs sociale familiare). I partecipanti, divisi in gruppi, affronterebbero versioni del compito di Wason con regole logicamente equivalenti ma formulate in maniera diversa. Ad esempio, una condizione potrebbe usare la regola astratta classica “Se c’è una vocale, c’è un numero pari” mentre un’altra usa la versione negativa “Una vocale non può avere un numero dispari sul retro”; analogamente, sul versante sociale si potrebbe confrontare la formulazione affermativa “Se una persona beve alcol, allora ha più di 18 anni” con la versione negativa “Se una persona ha meno di 18 anni, allora non deve bere alcol”. L’ipotesi predice che le versioni negative (di divieto) produrranno percentuali di risposta corrette significativamente più alte rispetto alle corrispondenti versioni affermative, indipendentemente dal contenuto. Un disegno fattoriale 2×2 permetterebbe di verificare l’effetto principale della formulazione negativa e l’eventuale interazione con il tipo di contenuto. Ulteriori misure, come il tempo impiegato per scegliere le carte o il ricordo della regola, potrebbero fornire indizi sul minore carico cognitivo nelle condizioni di divieto. Infine, si potrebbe testare un trasferimento di apprendimento: insegnando a un gruppo di partecipanti la “chiave” del framing negativo (ad es. tramite esempi e spiegazioni) e verificando se in seguito migliorano anche su compiti in contesti nuovi. Un marcato miglioramento grazie all’addestramento indicherebbe che i partecipanti hanno acquisito una strategia generale di ragionamento (coerente con la nostra ipotesi sulla forma della regola), piuttosto che avere semplicemente attivato moduli dominio-specifici inconsci.
 

In sintesi

Questa nota metodologica evidenzia che la novità della nostra ipotesi sta nel reinterpretare un noto rompicapo cognitivo attraverso la lente del framing linguistico e dell’economia cognitiva. E se il Test di Wason avesse accusato per decenni la razionalità umana non perché la nostra logica è intrinsecamente difettosa, ma perché il problema è mal formulato? Dare priorità al “evitare prima di agire” – un principio plausibilmente radicato nell’evoluzione – potrebbe consentire alla mente di affrontare compiti logici con maggiore agilità. Abbiamo delineato come questa idea si discosti dalle teorie consolidate e perché meriti una verifica sperimentale rigorosa. In definitiva, una comprensione più chiara del Test di Wason potrebbe trasformarlo da monumento alla nostra presunta irrazionalità in una lezione sul potere delle parole: a volte dire “Non fare questo” aiuta molto più la nostra logica che dire “Per favore fai quello”.


Bibliografia:
  • Wason, P. C. (1968). Reasoning about a rule. Quarterly Journal of Experimental Psychology, 20(3), 273–281.
  • Griggs, R. A., & Cox, J. R. (1983). The effects of problem content and negation on Wason's selection task. Quarterly Journal of Experimental Psychology, 35(3), 519–533.
  • Cosmides, L., & Tooby, J. (1992). Cognitive Adaptations for Social Exchange. In J. Barkow, L. Cosmides & J. Tooby (Eds.), The Adapted Mind. New York: Oxford Univ. Press.
  • Cheng, P. W., & Holyoak, K. J. (1985). Pragmatic reasoning schemas. Cognitive Psychology, 17(4), 391–416.
  • Kahneman, D. (2011). Thinking, Fast and Slow. New York: Farrar, Straus and Giroux (Ed. it. Pensieri lenti e veloci, Mondadori).
  • Mercier, H., & Sperber, D. (2017). The Enigma of Reason. Cambridge, MA: Harvard University Press.

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